Innanzitutto, grazie per aver letto e ascoltato la mia storia — una storia complessa, sofferta, che ho deciso di condividere solo ora, con la giusta distanza.
Non mi aspettavo tutta questa visibilità in sole 24 ore. Ho ricevuto tantissimo supporto, messaggi generosi e riscontri preziosi, ma anche alcune domande e obiezioni che credo valga la pena chiarire, per restituire contesto e mettere meglio a fuoco il senso di quello che ho scritto.
1. Perché ti sei iscritta alla Holden, se nessuno ti ha obbligata?
Perché ci credevo. Perché ero giovane, motivata, e attirata dall’idea di una scuola che prometteva accesso, formazione e una comunità culturale vera. Non sono entrata “da ingenua”: ci sono entrata da persona fiduciosa, che ha preso sul serio un progetto che sembrava serio. E il problema non è il “se ti iscrivi”, ma cosa ti viene dato in cambio di quella fiducia.
2. Sapevi quanto costava: allora perché ti lamenti?
Certo che sapevo il costo. Ma pagare non significa rinunciare al diritto di critica. Come ogni servizio, se la qualità è lontana dalle promesse, se le dinamiche interne sono opache e squilibrate, è giusto parlarne. Il pagamento non è una liberatoria morale.
3. Ma quindi non ti è andata bene e ora stai rosicando?
No. Il mio problema non è “non aver sfondato”. Ho avuto altre esperienze lavorative e creative dopo e anche una pubblicazione editoriale, sono riuscita a ricostruire il mio percorso. Il punto non è il successo personale, ma il sistema che ti vende l’idea che quello sia l’unico modo per accedere alla cultura, e che poi scarica responsabilità e colpa sul singolo quando il sistema stesso non regge.
4. Perché ne parli solo adesso? Perché non hai denunciato prima?
Per due motivi.
Primo: perché ora sono in una posizione stabile, e posso permettermi di parlare senza che le conseguenze professionali mi travolgano.
Secondo — e soprattutto — perché dopo la Holden ho avuto un crollo psicologico importante, un post-traumatico vero e proprio, fatto di insicurezza, silenzio, frustrazione.
Elaborare quella esperienza ha richiesto tempo. Espormi ora non è uno sfogo: è un atto consapevole, arrivato quando ero pronta a reggere anche il contraccolpo.
5. Che cosa ti aspettavi dalla Holden, davvero?
Trasparenza. Cura. Una formazione all’altezza delle promesse. Tutor presenti, una struttura solida, un ambiente sano in cui essere formati e non solo selezionati. Quello che ho trovato, in troppi momenti, è stato l’opposto.
6. Ma le cose che racconti non succedono ovunque, nel mondo dell’arte?
Che il mondo culturale sia competitivo lo sappiamo tutti. Ma non per questo dobbiamo normalizzare ambienti scolastici disfunzionali, relazioni tossiche e dinamiche opache solo perché “succede ovunque”. Anzi, se continuiamo a giustificare tutto, non cambierà mai nulla.
7. La scuola è cara perché ha costi vivi da sostenere. Non è normale che costi così?
Il problema non è che la scuola abbia dei costi, ma cosa offre in cambio di quei costi. Se una formazione privata diventa sostenibile solo vendendo illusioni e promettendo accesso più che contenuti, non è un corso: è un dispositivo di selezione di classe. E questo è il vero problema.
8. Alla Holden ci vanno solo figli di papà?
No. Ho conosciuto persone che si sono licenziate da contratti a tempo indeterminato, che hanno risparmiato per anni, che hanno fatto sacrifici veri. Quindi no: non è solo una questione di ceto. È una questione di modello, di promesse e di aspettative spesso troppo distanti dalla realtà.
9. Hai provato a parlare con la scuola, a segnalare le cose?
Sì. Ma il problema non era una singola cosa da segnalare. Era un sistema. Una struttura confusa, caotica, a tratti passivo-aggressiva, con relazioni sbilanciate e responsabilità vaghe. Parlare non era solo inutile, spesso sembrava sgradito.
10. Che consiglio daresti oggi a chi sta pensando di iscriversi?
Non sono nella posizione di dare nessun consiglio in merito.
Il biennio che ho fatto io, da Ottobre 2018 a Ottobre 2020 ed a oggi, tutta la dirigenza è cambiata, compreso il fatto della triennale con diploma equipollente.
Ad oggi non so dirvi se per esempio, la biennale ha un valore legale rispetto a quando l’ho fatta io.
10. Ma rischi qualcosa a parlarne pubblicamente?
Mi sono posta il problema, certo. Ma ho scelto con attenzione parole e contenuti, evitando diffamazioni, nomi di privati o elementi sensibili. Sto raccontando un’esperienza personale e criticando una struttura, non attaccando individui.
Esporsi comporta sempre dei rischi, ma anche il silenzio li comporta — e io ora sono in grado di affrontarli.
11. Gli stralci di mail che hai pubblicato non violano la privacy?
No. Ho pubblicato solo mail ricevute da un’istituzione scolastica, non da persone private. Niente dati sensibili, nessun uso distorto. Si tratta di comunicazioni formali legate a dinamiche organizzative: documentano un contesto, non attaccano nessuno.
12. Hai fatto nomi e cognomi di alcuni tuoi tutor. Non è rischioso?
Ho citato persone che hanno avuto ruoli pubblici e professionali all’interno della scuola, in contesti pubblici. Parlare di un docente in quanto tale non è diffamazione, è cronaca della mia esperienza formativa. Se avessi voluto attaccare qualcuno, avrei scritto altro. E non l’ho fatto.
13. Hai altri materiali a supporto di quello che racconti?
Sì. Ho mail, documenti, testimonianze scritte, e confronti con ex studenti.
Ma non voglio costruire un’inchiesta giudiziaria: sto raccontando una storia vera, riconoscibile, e condivisa da molte più persone di quanto si pensi.
14. Hai parlato di dinamiche “opache”: puoi spiegarti meglio?
Con “opache” intendo cose come: favoritismi sotterranei, tutor che sparivano, feedback vaghi, selezioni poco trasparenti, relazioni di potere mai esplicitate ma sempre percepite. Tutto questo crea disagio, frustrazione e senso di inadeguatezza. E succedeva. Chiaramente non potevo entrare nello specifico di tante situazioni e dinamiche, per privacy e soprattutto perché a ciò che si dice bisogna portare le prove.
Alcuni fatti che sono avvenuti e a cui ho assistito personalmente, ad oggi non ho nessuna prova della loro avvenuta. Ho parlato solamente di ciò che posso provare (ed è molto poco rispetto al tutto)
15. Ti ha mai contattata qualcuno della scuola dopo la pubblicazione del post?
No. Nessuna risposta ufficiale. E no, non mi aspetto nemmeno che arrivi.
16. Ma scusa, Chiara Valerio è una scrittrice seria. Perché criticarla?
Infatti non l’ho criticata. Anzi, sono una sua grande fan.
Quello che ho detto è che, in certi contesti, la presenza di nomi autorevoli rischia di legittimare sistemi poco trasparenti, anche inconsapevolmente. È un problema di contesto, non di persona.
17. Ma allora non c’era niente di buono in quell’esperienza?
Ci sono stati momenti belli, persone stimolanti, cose che ho imparato.
Innanzitutto, ho conosciuto due dei miei più cari amici in quel ambiente, che frequentavano altri bienni. Di ciò sono enormemente grata alla Scuola Holden - amaramente lo ammetto.
Ma quando l’ambiente ti svuota, ti espone, ti lascia a pezzi — non basta qualche momento positivo a bilanciare. E parlarne non cancella il valore di ciò che c’è stato: lo mette solo in prospettiva.
18. Hai paura che questo post ti chiuda delle porte nel mondo culturale?
Sì, un po’. Ma mi fa più paura continuare a stare zitta.
Se certe cose non si dicono mai per paura, allora il problema è ancora più profondo di quanto pensassi. Ho scelto di correre il rischio, perché lo ritengo giusto.
19. Cosa speri succeda adesso?
Niente di eclatante. Solo che qualcunə si senta autorizzatə a parlare, a raccontare, a non vergognarsi di aver vissuto un’esperienza difficile.
E magari che la prossima scuola che forma scrittori, registi, narratori, sia anche capace di ascoltarli.
20. Se potessi tornare indietro, rifaresti la Holden?
Con quello che so oggi e dopo quello che ho vissuto no. Infatti, dopo il test io pensavo di avere più tempo per decidermi. Invece ho avuto solo 7 giorni. Ho passato quelle giornate molto combattuta, perché ero indecisa se provare altri test per altre scuole (esempio Centro sperimentale di Roma o Luchino Visconti etc…)
Quello che ho vissuto mi ha insegnato moltissimo, ma a un prezzo troppo alto — umano, emotivo, simbolico.
Quindi hai avuto anche obiezioni, mi stupiva vedere solo commenti così concordi. Io non ho fatto la Holden, in realtà ci ho fatto un corso di tre mesi che ho trovato molto ben fatto, ma non mi considero uno studente della Holden. Però ne conosco un paio, entrambi felici e contenti di quello che stanno facendo quindi mi pareva strano che nessuno si sia fatto avanti per esprimere il suo disaccordo al tuo post. A uno di loro ho anche postato il tuo articolo e mi ha fatto un quadro tutto diverso. Comunque vorrei dire due cose che non necessitano di esperienza diretta. La prima è che 10.000 € l’anno sono una cifra normale. Cioè sono un’enormità per chi deva cavarsele di tasca, ma non mi sembrano il furto che dici tu. Anni fa avevo trovato uno studio molto serio secondo il quale, nel 1998, (lo studio è di diversi anni fa e si rifaceva a un anno passato perchè avevano dovuto reperire le rendicontazioni dei tanti soggetti, statali, regionali e comunali, che concorrono alla spesa e non era stato facile) uno studente di scuola pubblica (facendo una media tra elenentari, medie, liceo e università) costava allo stato 9.800.000 lire l’anno. La differenza con la scuola privata è che li paghi tu non lo stato. E anche il pezzo di carta che vale niente. Mica devi iscriverti a un concorso ministeriale, devi rivolgerti a case editrici, agenzie letterarie, redazioni italiane che sanno benissimo cos’è la Holden
La seconda osservazione riguarda i tempi stretti per iscriversi. Mia figlia l’anno scorso ha fatto il test per tre università pubbliche e ogni volta (li ha passati tutti e tre) aveva tre giorni per decidere se prendere il posto o no, tanto che si è iscritta a Pavia, con tanto di tassa di iscrizione, poi ha deciso di restare su Pavia quando ha saputo di essere ammessa a Milano, mentre in seguito, appena scoperto di essere stata ammessa anche a Bologna, in tre ore si è disiscritta da Pavia e iscritta a Bologna, ripagando l’iscrizione. Ricordo il panico quando è arrivato il sì di Pavia e poi anche per quello di Milano. Al momento di Bologna avevamo già capito come funzionava e poi quella era la sua prima scelta quindi non ci ha messo nulla a decidere.Tutto questo per dirti che i tempi brevi sono normali quando c’è una graduatoria perchè per ognuno che rinuncia entra uno di quelli in lista e non è che puoi dirglielo due mesi dopo che sono ammessi. Non lo danno per costringerti a prendere una decisione affrettata ma per poter accogliere qualcun altro. Alle volte aiuta considerare i problemi da un punto di vista più ampio…
Sei un bellissimo esempio di onestà.
Hai tutta la mia stima.