Proiezione 3 Novembre a Torino di San Damiano
Il docufilm su Roma Termini diretto da Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes
In occasione della giornata mondiale della salute mentale e delle persone senza fissa dimora a Torino al Cinema Massimo (quello di Via Verdi, attaccato alla Rai - dai non è così difficile) il 3 Novembre verrà ospitata una proiezione del docufilm “San Damiano” diretto da Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes.
Qui trovate il link per acquistare i biglietti e vi conviene affrettarvi perché l’ultima volta che sono andata a vederlo la gente pur di vederlo era seduta sulle scale (non penso che io posso dire questo ma ormai è scritto)
Sinossi (senza spoiler):
Damiano (35 anni), fuggito dall’ospedale psichiatrico di Breslavia, in Polonia, è arrivato a Roma alla ricerca di una nuova vita e, senza un soldo in tasca, si è immerso nel brulicante mondo che bazzica intorno alla stazione Termini. Rifiutandosi di vivere come un senzatetto, ha trovato rifugio in una torre sulle antiche mura romane e ha cominciato a frequentare la determinata Sofia.
Motivazioni per andare a vederlo (con spoiler):
Far arrabbiare
(se ti sei perso gli episodi precedenti questo è il link per poter leggere la sua assurda recensione scritto per la newsletter “Appunti” di ) STO SCHERZANDO, però visto che è stato citato…Raimo parla di safari del degrado e di empatia facile (che poi fosse vero quest’ultimo non chiameremo le persone senza dimora invisibili e non distoglieremo lo sguardo cambiando marciapiede), come se il film per lui ti portasse in jeep, in un safari tra i corpi rotti, sporchi e psichiatrici, giusto per farti scattare due lacrime a comando (secondo me non abbiamo visto lo stesso film).
Quello che succede in San Damiano è l’opposto (mi dispiace Christian, tu sei tipo da te’ ed io da caffè, non ci incontreremo mai) della consumazione turistica del dolore, perché la regia toglie la guida turistica tipica del documentario borghese bianco neurotipico che ti dice cosa pensare. I due registi ti presentano un’immagine che non potrà mai essere masticata e sputata in modo pop, in morale pronta all’uso, pregna di benaltrismo ma è anzi è un’immagine che ti restituisce la fatica di stare in scena senza cornici protettive, senza la stampella del commento esperto, un paracadute del “a te non potrà mai succedere”, senza il balsamo dell’inchiesta con il fact box e questa sottrazione non nasconde le responsabilità, ma anzi le rende visibili nei dettagli materiali. Sono ben consapevole che alcuni prodotti, che hanno dentro di sé una rivoluzione, sul presente vengono da sempre osteggiati principalmente da accademici stanchi e fuori forma, fuori fuoco, fuori generazione. Il tempo mi darà ragione e sono numerosi i prodotti cinematografici di riferimento che non possono più essere storicamente contraddetti, ma che quando uscirono, furono osteggiati e pregni di critiche.
L’accusa di “estetizzazione” si regge sull’idea che il primo piano feticizzi e il campo lungo disumanizzi (non capisco perché tu lo pensi ma vabbè), ma chi lavora con l’immagine sa che la scala di ripresa è anche un atto politico prima che estetico, perché avvicinarsi significa assegnare peso e respiro a un volto che il discorso pubblico ha già decretato, mentre allontanarsi serve a far entrare lo spazio che determina le traiettorie. Il linguaggio estetico di San Damiano è rifiuto della grammatica televisiva che smussa ogni spigolo perché puoi farti male e se il montaggio sembra spezzettare è perché segue vite interrotte, ritorni, ossessioni, escalation, non perché vuole imitare la confusione mentale.
Parlare di pornografia del dolore è comodo quando si pretende che la macchina da presa arretri ogni volta che la realtà supera la soglia del vostro decoro borghese e arretrare sarebbe un atto di rimozione, non di cura. Ed è esattamente così che diventi complice del safari: perché scegli di guardare altrove, di sovrastare invece di dialogare ed è un linguaggio coloniale, mentre a Termini (ed in tantissime altre città del mondo) succede quello che preferisci non vedere.
Io posso stare tutto il giorno a spiegare e a disinnescare pregiudizi e lapidazioni, ciò che non posso fare (purtroppo) è spiegare l’empatia. Se guardi San Damiano e non la provi, io non posso farci niente.
San Damiano non promette guarigioni, non promette riscatto, non promette redenzione, non promette catarsi, promette solo di non tradurre Damiano, Sofia e Alessio in casi umani, icone, diagnosi, parabole edificanti, e questa è già una restituzione politica, dato che il racconto istituzionale chiede sempre che la sofferenza diventi utile a qualcosa, possibilmente a ripulire la coscienza di chi guarda. Il film si rifiuta di certificare la tua innocenza (e fa anche bene) e di darti il bollino etico prima dei titoli di coda.
Sulle responsabilità sistemiche che non verrebbero esplicitate conviene essere onesti: perché nessun cartello ha mai fermato uno sgombero e nessuna grafica animata ha mai curato una psicosi, mentre un’inquadratura che mostra chi abita un’area grigia tra pubblico e privato, chi pattuglia senza risolvere, chi vende e chi compra, chi sfrutta e chi viene sfruttato, costruisce una mappa pratica della città che vale più di un capitolo di policy. Quindi, se proprio ti serve la conferma che non stai facendo voyeurismo allora cambia sala, perché questo film lavora sul tuo ruolo di spettatore senza offrirti uscite di sicurezza e proprio per questo vale il biglietto.
San Damiano ragiona per cinema, non per slogan, se per te (non Raimo, tu che leggi) il cinema è un reel di quindici secondi, passa oltre, se invece ti interessa vedere come forma e etica possono coincidere, qui trovi scelte e un tempo che ti costringe a guardare davvero.
Link per vedere la proiezione del 3 Novembre
Se non potrai essere a Torino, recati al cinema della tua città e richiedine la distribuzione.



