Scrollo, ergo dubito
Le velleità
Le "Grandi Speranze"
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Le "Grandi Speranze"

Quando la formazione diventa un privilegio e l’umiliazione un metodo educativo.

Seconda aveva venticinque anni, una formazione umanistica, poche alternative e un sogno semplice: imparare a scrivere per vivere di quello che amava.

La Holden prometteva tutto ciò che la realtà le negava, e lei ci ha creduto.

È entrata nel biennio delle “Grandi Speranze”, l’ultimo biennio nella vecchia sede prima del trasferimento della Scuola Holden a Borgo Dora, convinta che fosse un luogo di crescita. Ha trovato confusione, docenti improvvisati, corsi-giocattolo e un modello di scrittura imposto come un marchio di fabbrica.

C’erano maestri colti e generosi, ma anche chi umiliava gli studenti davanti alla classe, chi rideva dei loro testi e delle loro fragilità. Seconda ha imparato che alla Holden “essere sé stessi” vale solo se piaci al sistema, che la libertà creativa finisce dove comincia lo stile istituzionale, e che per sopravvivere devi fingere di non essere troppo: troppo queer, troppo emotiva, troppo diversa.

È uscita devastata, con la convinzione di non saper più scrivere, schiacciata dal gaslighting culturale di una scuola che predica il talento e distrugge l’autostima.

Per anni è rimasta in silenzio, convinta che la colpa fosse sua.

Oggi racconta la verità che avrebbe dovuto dire allora: che le grandi speranze servivano a farci credere che il dolore fosse un investimento.

Le grandi speranze racconta cosa succede quando un’istituzione che dice di formare scrittori finisce per insegnare solo una cosa: come smettere di credere in sé stessi.

Buon ascolto.

Le velleità

Quando i soldi sono troppi o troppo pochi. Un podcast narrativo che raccoglie le testimonianze di chi ha frequentato la Scuola Holden. C’è chi l’ha amata, chi ne è uscitə delusə, chi ancora non sa bene cosa sia successo. Ogni voce ha valore, ogni esperienza è valida. Le storie vengono inviate via mail, lette e interpretate da me, con l’identità che ognunə sceglie di mostrare — o proteggere. “Le Velleità” non è un’accusa né una celebrazione. È uno spazio di memoria collettiva, per raccontare cosa succede dopo aver inseguito un sogno narrativo.

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