Iniziamo col dire che questo post non avevo proprio pensato di scriverlo. Non per qualche motivo particolare, semplicemente credevo non fosse interessante o quantomeno pertinente al discorso. E invece, oggi, mentre facevo la spesa al mercato, ho letto la seconda stagione dei post di Ambra Stancampiano, accorgendomi che una delle sue esperienze somiglia in modo inquietante alla mia. Quindi mi sono detta: perché non parlarne? Perché non approfondire?
In generale per quel biennio, completamente incentrato sulla sceneggiatura seriale nelle sue lezioni principali perché il "maestro" era un noto sceneggiatore, c'era l'aspirazione quando non la pretesa che si formassero dei gruppi di sceneggiatura veri e propri, da mandare poi eventualmente avanti (magari in qualche "bottega" di sceneggiatori amici a "farsi le ossa") per come erano. Il che ha funzionato per alcuni, ma non era assolutamente possibile per tutti. Anche questa era ed è una forma di selezione: il culo di trovare le persone giuste.
Durante le sessioni di scrittura io, D e R siamo entrati in conflitto, com'è perfettamente normale per delle persone profondamente diverse costrette a scrivere insieme qualcosa che evidentemente non potranno mai riproporre per come è stato richiesto. La storia non veniva, la frustrazione generale era piuttosto evidente. Non ricevevamo aiuto, o forse non eravamo in grado di capire quale genere di aiuto ci servisse. Per quanto ci impegnassimo, la sceneggiatura stava venendo malissimo e, sessione di scrittura dopo sessione di scrittura, i nostri caratteri stavano venendo fuori con forza e diventavano a loro volta fonte di problemi nella nostra relazione e nel lavoro che ne stava uscendo. Se infatti D era animata da un vero e proprio fuoco sacro nei confronti della sceneggiatura, che l'aveva portata a tralasciare ogni altro aspetto della scrittura ortografia compresa, io tendevo e tendo, soprattutto sotto stress, a una precisione impeccabile e stancante per chiunque mi circondi, a un perfezionismo che rasenta l'ossessione, e sblocco una capacità di analisi minuziosa che a volte riesco a indirizzare bene e altre si perde in un bicchier d'acqua. Ed è irritante. R invece era approssimativo, tendenzialmente insicuro e piuttosto menefreghista. Sollevava problemi che poi non riusciva o neanche cercava di risolvere, aggiungendo confusione ma senza fare un passo verso qualsiasi possibile soluzione o risoluzione. Era molto frequente, ad esempio, che si limitasse a dire che ciò che io e D avevamo scritto/pensato/sviluppato non gli piaceva, ma non era in grado di dirci perché o cosa migliorare.
Sì, ho già detto che non esiste un piano didattico formale, chiaro e lineare. Però sembrerebbe che alcune lezioni siano state riproposte nel tempo – con variazioni, certo, ma la sostanza è rimasta – quindi se vi state chiedendo “ma alla fine, durante le giornate del biennio, che si fa?”, partendo dal racconto di Ambra, vorrei condividere anch’io uno dei “moduli” (possiamo chiamarli così?) che ho seguito alla Holden nello specifico durante il biennio Serialità & Televisione 2018–2020.
Serve però un breve recap per chi si fosse perso le puntate precedenti (che trovate comunque qui e qui): ho solo accennato finora alla struttura interna della scuola. In realtà potrei farne un disegnino, ma non ne ho assolutamente voglia, quindi cercherò di spiegarmi nel modo più chiaro possibile.
Alla Holden esiste una gerarchia dichiarata dei docenti. Al vertice c’è il Mentore (nel mio caso, dato che l’ho già citato, era Federico Favot). Il suo ruolo didattico non mi è ancora del tutto chiaro – e a quanto pare non lo è nemmeno per chi ha scritto l’episodio uno del podcast (che potete trovare qui e qui su Spotify).
Ricordo benissimo la prima lezione: un PowerPoint in cui ha raccontato i fatti suoi. Dove si è sposato, quanti gatti ha, la sua abilità nel centrare le cartacce nei cestini… il tutto per due o tre ore, più o meno. Né più né meno.
Subito sotto di lui, nel mio percorso, c’erano due tutor. Non so dirvi se negli altri College ce ne fosse solo uno o più di uno, ma so che nel biennio successivo al mio, sempre in Serialità, da due sono passati a uno solo, che per un anno ha ballato da solo Hully Gally: Aaron Ariotti e Filippo Losito, sono quelli che l’hanno ballato con me.
Ora: non ho né voglia né tempo di fare un’analisi approfondita su come fossero come persone (mhm…) o su quale fosse il loro approccio didattico – inteso sia come “trasmissione di contenuti” sia come relazione umana. E questo perché, pur trattandosi di una scuola rivolta ad adulti (studenti tra i 18 e i 30 anni nel biennio), la Holden dovrebbe distinguersi da un’università tradizionale proprio per la cura relazionale, per la componente umana della didattica. Dovrebbe essere questo il cuore della sua proposta formativa. Altrimenti, perché mai sceglierla rispetto ad altri percorsi?
Quindi no: non immaginatela come un’università. Pensatela piuttosto come un campeggio estivo dell’oratorio, ma con più citazioni di David Foster Wallace.
Comunque, pane al pane e vino al vino: i tutor dovrebbero insegnarti le basi del mestiere. Nel mio caso, Aaron Ariotti avrebbe dovuto mostrarmi come si lavora da sceneggiatore nell’ambito della serialità, mentre Filippo Losito come si svolge il lavoro di autore televisivo.
Dopodiché ci sono i cosiddetti “Guest”: professionisti del settore che vengono a tenere dei moduli brevi, da un minimo di 3 a un massimo di 5 incontri (raramente 8), con un focus specifico. Per fare qualche esempio: Isabella Aguilar ci ha spiegato come funziona il reparto di produzione; Chiara Cremaschi ci ha introdotto al linguaggio del documentario. Degli altri, purtroppo, non ricordo né i nomi né, in certi casi, nemmeno con esattezza le materie trattate.
Tutto questo – lo ribadiamo – avviene senza voti, solo tramite feedback.
Fun fact: negli anni precedenti, per ragioni mai chiarite, esisteva in realtà un “libretto” con dei voti. Dovevano servire a dare un riscontro su quanto avessi (o meno) appreso quella materia. In altri casi, invece, erano vere e proprie frasi di dubbio gusto, a metà tra una forma di vessazione e un aforisma di Gramellini.
La Holden inizia a ottobre, e il primo mese lo passi in anfiteatro… pardon, General Store, a seguire dalle 2 alle 4 conferenze al giorno insieme a tutto il biennio. Se ti va ci vai, se non ti va non ci vai. Non esistono assenze, non c’è obbligo di presenza, né registrazioni da fare. E così per tutto il mese.
Dai primi di novembre si comincia con le basi: scrittura del soggetto e sceneggiatura. Materie estremamente tecniche, che hanno ben poco a che vedere con l’idea romantica di “creatività”. Perché sì, fare lo sceneggiatore è ovviamente un lavoro creativo, ma richiede una precisione di linguaggio e una grammatica quasi chirurgica. È un lavoraccio – che io amo profondamente – ma è tutta un’altra cosa rispetto a scrivere un romanzo. Nel romanzo, per quanto ci siano regole, ognuno può fregarsene e fare il cazzo che gli pare.
Lo sceneggiatore no: fa parte di una macchina più grande, in cui più persone e più reparti devono leggere e usare quello che scrive. Quindi puoi avere l’idea più brillante del mondo, ma se la scrivi male non è utilizzabile, e nessuno capisce una sega.
Dopo le vacanze invernali ci assegnarono un’esercitazione di gruppo, e da qui mi ricollego all’esperienza raccontata da Ambra (trovate i link sopra), con le dovute differenze, ovviamente. Ora vi racconto la mia.
Durante questa lezione – dove, in modo quasi miracoloso, era presente anche il Mentore (che teoricamente dovresti vedere una volta al mese, ricevere compiti, feedback… ma nella pratica ognuno fa un po’ come gli pare) – vennero scritti alla lavagna i titoli di alcune serie TV. A quel punto, alzando la mano, si doveva indicare la propria preferenza. Mi pare se ne potesse scegliere una sola, massimo due con una sorta di “piano B”. Non ricordo tutti i titoli che erano scritti, ma ricordo sicuramente: La linea verticale, The Big Bang Theory, Scrubs, Shameless (su quest’ultima potrei sbagliarmi) e un’altra che ora proprio non mi viene in mente.
Io scelsi Scrubs, perché – banalmente – è la mia serie preferita. E non nel senso poser del termine: sono letteralmente ossessionata da Scrubs. So intere scene a memoria, faccio almeno due rewatch l’anno, ho perfino un tatuaggio dedicato… ok, lo ammetto, forse un po’ poser lo sono. Ma era solo per farvi capire quanto fossi preparata. Le altre serie, semplicemente, non mi piacevano. Alla fine la scelta si basava tutta sul gusto personale.
Quindi, divisi in gruppi in base ai gusti, io finii in quello “più piccolo”: eravamo in tre.
Giusto un appunto prima di proseguire. Ho sempre parlato in modo estremamente vago dei miei compagni di classe, e continuerò a farlo, perché non ho alcuna voglia di ricevere messaggi da parte loro. Non ho nemmeno intenzione di descrivere nel dettaglio certi comportamenti – che, vale per me come per loro, si qualificano da soli.
Qualcosa l’ho già accennato nel primo post, e non intendo tornare sull’argomento: non perché voglia evitare il confronto, ma perché vorrei davvero evitare uno scontro frontale. A queste persone non ho nulla da dire, perché non credo capirebbero. E loro non hanno nulla da dirmi, perché la realtà delle cose – temo – non vogliono proprio sentirla. Vi vedo, comunque, che seguite ogni mio movimento aspettando il gossip, affamati. Ecco: queste sono solo briciole. Se avete fame, fatevi un Glovo.
Mi ritrovai in gruppo con Mario e Giovanni (nomi fittizi, ovviamente). Quello che dirò non ha nulla a che vedere con dinamiche personali: gli atteggiamenti interni al gruppo erano complessi, sì, ma non tossici. È normale che, sotto pressione – soprattutto in un contesto dove non esistono voti ma solo l’ansia di fare bella figura – possano emergere tensioni, fraintendimenti o visioni diverse sul piano di lavoro. Ci sta.
La prima assegnazione era questa: guardare la serie TV scelta e individuare un “buco di trama”, poi realizzare una presentazione PowerPoint per spiegare alla classe il progetto. Dovevamo raccontare la trama, i personaggi e i relativi archetipi, il concept, l’arena di riferimento, il modello produttivo, e via dicendo.
Ora: wow. Parliamo di Scrubs, una serie americana ibrida tra fiction e one-room sitcom, andata in onda dal 2001 al 2010 con 8+1 stagioni. (Nota: SCRUBS NON HA 9 STAGIONI, e se sostenete il contrario vi vengo a cercare). È una serie con beat narrativi che vanno dai 30 secondi a 1 minuto e 20, corale, costruita a sketch comici (alcuni dei quali – come quelli dell’inserviente – completamente improvvisati e non presenti in sceneggiatura), con 5 protagonisti principali e almeno 10 personaggi secondari, ciascuno con una propria lore.
Tutto questo concentrato in episodi da 20 minuti, per stagioni da 23-25 episodi. Ah, e in quanto medical drama, la serie è stata ampiamente premiata per l’accuratezza delle situazioni cliniche: a differenza di Dr. House, Scrubs raccontava spesso casi comuni e realistici (appendiciti, polmoniti, etc.) e non solo malattie rare da manuale di patologia tropicale.
Questa analisi, condensarla in una decina di slide e in più trovare un buco di trama? Impresa bella tosta. Per fortuna, in questo caso specifico, il “buco” lo conoscevo già: non era una mancanza creativa, ma un semplice errore di continuità noto da anni. Quindi, almeno sotto quell’aspetto, il lavoro per noi fu relativamente semplice.
Ah, quasi dimenticavo: per fare questa analisi dovevamo anche prendere – mi pare – i primi episodi di stagione (ora sono sicura che fossero i primi tre, anche se non ricordo se fosse la prima stagione) e costruire un tabellare Excel.
La struttura era questa:
– prima colonna con la timeline (es. da 0:01 a 0:10),
– seconda colonna con una frase che riassumesse cosa accadeva in quel frammento (es. J.D. parla con Turk di Elliot)
– terza colonna con l’indicazione dei personaggi coinvolti, a cui dovevamo assegnare un colore specifico.
E così per ogni singolo episodio. Alla fine, il tutto andava consegnato.
Dopo la presentazione davanti a tutta la classe – circa dieci minuti a testa – ci venne assegnato il compito di scrivere un soggetto di puntata che contenesse e risolvesse il buco di trama individuato. Con una grossa limitazione: dovevamo rispettare meticolosamente la struttura di Scrubs, evitando di contraddire eventi futuri nella continuity. In pratica, si trattava di creare una sorta di episodio “fantasma”, tipo un S01E04.5, da inserire in modo credibile tra due puntate esistenti. Un soggetto di puntata, in generale, non supera quasi mai la lunghezza di una paginetta. Non ricordo con esattezza quante ce ne vennero richieste, ma a ogni gruppo fu assegnata una sorta di “assistente” o tutor di supporto. Nel mio caso era Mary Stella Brugiati. A lei ci rivolgevamo in caso di problemi o dubbi da risolvere. Credo avessimo a disposizione circa un mese per consegnare il lavoro. Nel frattempo, facemmo diverse revisioni – cosa assolutamente normale e coerente anche con il mondo professionale, dove ogni soggetto viene riscritto più e più volte perché viene letto e valutato da reparti diversi.
Una volta che Aaron approvò il soggetto, passammo alla scaletta di sceneggiatura (che, anche qui, è un bel lavoraccio). Ci abbiamo lavorato per circa un mese, con vari feedback e revisioni, fino ad arrivare alla stesura vera e propria dell’episodio “mancante”.
E attenzione: vi sto raccontando il contesto. Era un role play assurdo, in cui noi, senza alcuna formazione tecnica o reale competenza, ci ritrovavamo improvvisamente a fare gli sceneggiatori di una delle serie TV più complesse e famose al mondo.
Bisognava incastrare tutto: il caso medico di puntata (a volte anche più di uno), i drammi personali dei protagonisti, i conflitti tra di loro, gli sketch comici (che in Scrubs sono velocissimi), i cliffhanger, le visioni di J.D.… tutto questo in appena 20–25 pagine di sceneggiatura.
Per chi non ha familiarità col formato: una pagina da 30 righe corrisponde a circa un minuto di scena. Quindi sì, si trattava di scrivere un episodio completo, credibile e coerente, nel giro di poche settimane. E non parliamo dei dialoghi: già in inglese sono complicatissimi, figuriamoci replicare lo stile del doppiaggio italiano. E stiamo parlando di marzo. Avevamo iniziato ad approcciarci al mondo della serialità a novembre, tra una pausa e l’altra. Ovviamente chiesi se potevano fornirci almeno una sceneggiatura originale di Scrubs – anche in inglese – giusto per capire com’era scritta davvero. La risposta, la potete immaginare.
Tutto questo doveva essere fatto in tre mesi di lavoro, ma fuori dall’orario delle lezioni. Nessun tempo dedicato in classe: si scriveva quando si riusciva, nel tempo “libero”. La sceneggiatura veniva poi inviata a Mary Stella, che ci forniva ulteriori revisioni.E avanti così, tra consegne, revisioni e nuove versioni, seguendo varie scadenze fissate da Aaron, fino ad arrivare – più o meno – a Maggio.
Una volta consegnata la sceneggiatura, Aaron ci diede un feedback piuttosto vago sul lavoro. A essere sincera, non ricordo affatto cosa disse al nostro gruppo – probabilmente qualcosa di molto blando.
Ma non finiva lì: dovevamo anche farci i feedback a vicenda. Noi del gruppo Scrubs inviammo la nostra sceneggiatura a un altro gruppo, e ricevemmo quella di The Big Bang Theory. Durante la lezione, ognuno doveva esporre un commento sull’elaborato altrui: dire com’era la sceneggiatura, com’era stato affrontato il lavoro, e così via.
Il tutto in modo abbastanza raffazzonato, se considerate che avevamo una settimana di tempo per leggerla, formularne un’opinione e – nel mio caso – anche solo riuscire a capirla. Non sono fan di Big Bang Theory, e provai a guardare i primi due o tre episodi… con risultati piuttosto deludenti.
Fine delle lezioni di Aaron per il primo anno.
E quelle di Filippo Losito? No, vi prego, non voglio nemmeno aprire quel capitolo. Lasciatemi in pace. Per quanto riguarda gli altri Guest, qualcosa ve l’ho già raccontato: alcune lezioni sono state utili, altre totalmente egoriferite, altre ancora… diciamo, trascurabili.
Questa storia l’ho raccontata perché certe dinamiche non sono incidenti di percorso: sono strutturali. E perché chi parla di “formazione” dovrebbe prendersi la responsabilità anche di ciò che non funziona, soprattutto quando a pagarne il prezzo sono gli studenti. Se non altro, ora sapete un po’ meglio cosa significa davvero “scrivere in gruppo” alla Holden.